Salve Montse. In Italia, siamo arrivati alle fasi finali del personaggio di Ursula Dicenta, la terribile dark lady che ha interpretato nella soap Una Vita. Com’è stato dirle addio?
“Come tutti gli addii, agrodolce. Fa sicuramente male dire addio a un personaggio così intenso come è stato quello di Ursula Dicenta. E’ un personaggio che ti conquista, che ti entra dentro. L’ho respirato e fatto crescere dentro di me per quattro anni. Anche adesso sogno ancora Ursula”.
Nonostante la sua malvagità, Ursula è stata amatissima dal pubblico. Se lo aspettava?
“No, in realtà. E’ stata una meravigliosa sorpresa ricevere tanto affetto e complimenti per il mio lavoro, sia da parte degli spettatori spagnoli, sia degli italiani e di tutti quelli degli altri paesi dove la serie va in onda”.
C’è stato qualche lato del carattere di Ursula che non le è piaciuto?
“Ovviamente ci sono state tante cose nel carattere della mia e della nostra Ursula che non ho apprezzato e che vorrei che nessun’altro avesse: il suo rancore, la sua ira, la sua sete di vendetta, la sua tirannia, la sua capacità di fare del male trovando sempre una giustificazione o, semplicemente, senza nemmeno accorgersene. Solo il periodo dove ha avuto dei problemi psichiatrici l’ha resa umile e servizievole, anche se è durato molto poco”.
Tra qualche mese, Una Vita finirà definitivamente. E’ dispiaciuta?
“Sono ancora costernata da questa notizia improvvisa. Mi fa male per i compagni: dagli attori ai tecnici, passando anche per tutti i telespettatori e le telespettatrici di Acacias38/Una Vita. E’ una serie che sta funzionando davvero bene, con un risultato d’ascolto molto alto. Meritava di restare in palinsesto”.
Passiamo a lei. Quali altri personaggi, al di là di Ursula, hanno segnato la sua carriera?
“A livello televisivo, ricordo con molto affetto il personaggio che ho interpretato nella serie ‘El cor de la ciutat’ (El Corazon de la ciudad). Si chiamava Maise Sendra e sono stata lei per quattro anni. C’è stata poi Teresa in ‘Secrets de Xangai’ (Secretos de Shangai). 23 puntate girate in inglese, l’80% a Shangai e il restante a Barcellona. Al cinema, il personaggio di Marga nel film ‘Antonio cumple 50’ di Alejandro Mira e quello di Olga in ‘Atrapats’ (Atrapados). A teatro, invece, il monologo di ‘La que sale’ tratto dall’opera ‘La esclusa’ di Michel Azama e Medea di Heiner Muller hanno segnato un prima e un dopo nel mio percorso d’attrice”.
C’è stato un personaggio che ha trovato difficile da interpretare?
“Tutti i ruoli sono difficili. Non è facile entrare appieno e comprendere gli aspetti psicologici e i condizionamenti storici e sociali dei personaggi. Tutto sta nel lavoro che fai sugli stessi e, logicamente, sull’aiuto e la strada che ti indica la direzione di ciascun progetto”.
Quali sono i pregi e i difetti di Montse Alcoverro?
“Non è facile per una persona riconoscere i suoi pregi e difetti però, in base a ciò che dicono
i miei amici e colleghi, posso dire che uno dei miei grandi difetti, che però non è l’unico,
è il mio essere impaziente, mentre uno dei miei punti forti è la tenacia. Tutto quello
che è supportato da un mantello di entusiasmo e amore, può creare un cocktail appetitoso”.
Ci sono delle cose a cui non rinuncerebbe mai, nemmeno per la sua professione?
“Penso che la parola rinuncia non si possa applicare alla mia vita perché quello che ho fatto è stato decidere e con le decisioni che ho preso mi sento in pace”.
Quando ha deciso di recitare? Cosa consiglierebbe a un giovane che vuole avvicinarsi per la prima volta al mondo della recitazione?
“All’età di 18 anni ho iniziato a studiare Arte Drammatica ed ero molto sicura al riguardo.
Volevo dedicare la mia vita al teatro (dopo sono arrivati il cinema e la televisione) e per tutta
la vita ho preso le decisioni, di cui parlavo prima, per essere coerente con la mia decisione
di recitare e con me stessa. A tutti i giovani che vogliono avvicinarsi al mondo della recitazione
per la prima volta mi verrebbe da dire ciò che mi è stato chiesto quando ho iniziato: ‘Tu hai tante
aspettative dal teatro, ma cosa offri tu al teatro?’. Cioè, si devono rendere conto che diventeranno
lavoratori della cultura e che questo è un impegno, un modo per offrire al mondo un cibo per
l’anima, per lo spirito, per il cuore. Direi loro di essere molto curiosi, di studiare, di leggere tutto
ciò che capita nelle loro mani. E altro ancora: di andare nei musei, al cinema, a teatro, di avvicinarsi
alla danza e a tutti i tipi di musica, di chiedere e ascoltare, di guardare e respirare la loro vita senza
paura, di salire sul palco o di mettersi davanti a una macchina fotografica con i loro progetti o con quelli degli altri, ma di farlo. Devono lavorare anche se non hanno proposte di lavoro. Insomma, parafrasando il poeta Antonio Machado, devono costruire il loro cammino”.
Cosa sogni per il suo futuro lavorativo?
“Sogno di continuare, dopo oltre 35 anni di professionalità, ad avere progetti di cui innamorarmi, propri o altrui, e dove posso dare il massimo”.